Situazione attuale e Attività volontari/e

A giugno, nella zona di Masafer Yatta, l’occupazione dei territori palestinesi si è tradotta in continue invasioni, aggressioni e intimidazioni dei coloni israeliani, con la complicità di esercito e polizia.

Le invasioni dei campi sono diventate praticamente quotidiane; il modus operandi è sempre lo stesso: i coloni, spesso armati, accedono con il proprio gregge alla terra, devastando i campi e provocando la reazione del pastore palestinese. In alcuni casi i coloni hanno addirittura aggredito fisicamente i palestinesi, legittimi proprietari delle terre, e danneggiato le loro abitazioni.

Gli sporadici interventi della polizia hanno sempre avallato l’operato dei coloni; in alcuni episodi la polizia ha concluso l’azione “sequestrando” (non si può parlare di arresto, la c.d. illegal abduction) i palestinesi colpiti, che non avevano commesso alcun illecito, solo perché esercitavano resistenza nonviolenta ad un sopruso.

Il villaggio di Khallet Athaba’, già colpito da pesanti demolizioni a febbraio e a maggio, è stato ancora oggetto di distruzione da parte delle forze di occupazione: il giorno 16 giugno sono state distrutte due case, quattro tende e quattro taniche d’acqua. Ormai restano in piedi solo due case e una scuola.

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Situazione attuale e Attività volontari/e

Nel mese di maggio, nella zona del Masafer Yatta, le forze di occupazione israeliane e i coloni hanno cercato con varie strategie di espellere forzatamente la popolazione palestinese da alcuni villaggi nell’area.

Il 5 maggio un convoglio di militari israeliani e bulldozer ha raggiunto il villaggio di Khallet Athaba’ e ha demolito il 90% del villaggio, poiché il villaggio si trova nella Firing Zone 918, una zona dichiarata di uso esclusivo per l’addestramento dei militari israeliani, dove tutti i villaggi palestinesi esistenti sono sotto ordine di demolizione. 28 adulti e 21 minori sono stati sfollati a causa delle demolizioni di 9 case, 6 grotte, 12 bagni e 6 pozzi con annessi pannelli solari, taniche di acqua, stalle per animali, il sistema idraulico e due sistemi di accumulo dell’energia elettrica solare.

Nonostante la devastazione, gli abitanti del villaggio hanno deciso di restare sulle proprie terre, in vista di una prossima ricostruzione.

I coloni israeliani dell’area, approfittando dell’instabilità generata dalla quasi cancellazione dell’intero villaggio, durante tutto il mese hanno portato le greggi al pascolo nel villaggio, distruggendo le coltivazioni dei palestinesi. Il 26 maggio hanno addirittura montato una tenda accanto a Khallet Athaba’ e si sono insediati in alcune grotte rimaste integre. Dallo stesso giorno, per almeno una settimana, i coloni hanno continuato a distruggere le coltivazioni e a danneggiare le proprietà palestinesi: sono entrati in casa delle persone, sputando in faccia alle donne e ai bambini, hanno rubato il mangime delle pecore, hanno svuotato le cisterne di acqua. Grazie alla complicità dell’esercito e della polizia israeliana, i coloni, rimasti impuniti, stavano per impossessarsi completamente del villaggio, se non fosse stato per la solidarietà dei palestinesi dei villaggi limitrofi. Infatti, in pochi giorni, la comunità palestinese del Masafer Yatta, grazie a un presidio permanente nel villaggio stesso, è riuscita a resistere alle violenze dei coloni, che hanno finalmente lasciato il villaggio portandosi dietro gli animali e la tenda.


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Situazione attuale e Attività sul campo

Anche ad aprile nei Territori Occupati vi sono stati numerosi attacchi dell’esercito israeliano e dei coloni contro la popolazione palestinese.

Operazione Colomba ha continuato ad accompagnare i palestinesi nella loro resistenza quotidiana nelle colline a sud di Hebron, lungo i pascoli, anche cercando di recuperare l’accesso a terre che altrimenti sarebbero perse.

Particolarmente significativi sono stati cinque episodi. Il 13 aprile un gruppo di coloni ha messo in atto un pogrom nei confronti del villaggio di Halawe, nella Firing Zone 918, una zona di addestramento militare istituita dall'esercito israeliano in territorio palestinese. Il villaggio è pressoché irraggiungibile per i gruppi di attivisti internazionali presenti nell'area, per via del divieto di entrare nella zona militare, pena il rischio di arresto. Le firing zone – sulla carta a esclusivo accesso militare, nei fatti abitate da coloni nazional-religiosi violenti – sono una delle strategie di occupazione di terre e di pulizia etnica della popolazione palestinese. Halawe, come il mese scorso Jinba, ha subìto l’attacco nella più totale invisibilità e impunità. Due ragazze minorenni sono state malmenate e otto palestinesi sono stati arrestati.

Il 17 aprile due coloni armati hanno invaso la terra di un palestinese del villaggio di Ar-Rakeez per appropriarsene, dopo giorni di intimidazioni e danneggiamenti degli ulivi. Come le volte precedenti, il proprietario si è recato sulla terra con uno dei suoi figli per difenderla. Uno dei due coloni ha iniziato a picchiare il ragazzo (16 anni), atterrandolo e prendendolo a calci. Di fronte alla violenza, il contadino palestinese (60 anni) è corso in direzione del figlio per proteggerlo, ma non ha fatto in tempo a raggiungerlo: l'altro colono, armato di fucile da guerra, gli ha sparato al polpaccio. In ospedale gli è stata amputata la gamba per salvargli la vita. Inoltre, i due palestinesi sono stati arrestati immediatamente: l'uomo ammanettato al letto di ospedale, sorvegliato a vista, il ragazzo in un carcere minorile. Tre giorni dopo, di fronte a una corte militare sono stati rilasciati su pagamento di una cauzione di 1.000 shekel (850 euro). I giorni successivi al tentato omicidio, i coloni, tra cui anche l’autore dello sparo, sono tornati quotidianamente sul posto. Il 20 aprile la famiglia, riunitasi al villaggio per presidiare il terreno, ha deciso di chiamare la polizia israeliana per denunciare i coloni ma, giunta sul posto, la polizia ha intimato alla comunità palestinese di non chiamarla più, asserendo che quella sia terra israeliana. Il 24 aprile il palestinese vittima dell’attacco è tornato a casa. Nel suo primo discorso ha manifestato l'intenzione di tornare sulla sua terra, anche senza una gamba, perché quella è la terra a cui appartiene e la difenderà anche se questo dovesse significare la morte.

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A marzo in tutti i Territori Occupati si sono consumati molteplici attacchi di coloni israeliani e forze di occupazione verso la popolazione palestinese. Le volontarie e i volontari di Operazione Colomba, affiancati da Mediterranea Saving Humans, hanno continuato ad accompagnare i palestinesi nella loro resistenza nonviolenta quotidiana nelle colline a sud di Hebron.

Nonostante marzo sia stato mese di Ramadan e di digiuno, in diverse aree della Masafer Yatta i pastori palestinesi sono tornati a uscire al pascolo con le loro greggi, subendo impedimenti all’accesso alle loro terre, arresti arbitrari (con fascette alle mani e ai piedi e volti bendati) su indicazione di soldati coloni, e minacce.

Sono stati emblematici due eventi: il caso di un attivista arrestato dalla polizia israeliana per “procurato allarme”, dopo che aveva chiamato la polizia per denunciare il danneggiamento di alcune coltivazioni palestinesi da parte di un pastore colono. Un altro caso di arresto di 4 palestinesi e 3 attivisti internazionali a seguito di un attacco di coloni nel villaggio di Khallet At Dabaa, concluso con l’allontanamento dall’area C per 15 giorni di due degli attivisti e l’espulsione per il terzo.

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Situazione attuale e Attività sul campo

La situazione nei Territori Occupati è estremamente tesa, con un aumento significativo degli episodi di violenza da parte dei coloni e delle operazioni di demolizione condotte dall’esercito israeliano, a seguito della tregua a Gaza. In Cisgiordania, il contesto si è aggravato ulteriormente per le recenti offensive militari a Jenin e Nablus, che hanno lasciato dietro di sé un clima di paura. Nel nord della Cisgiordania, i raid dell’esercito israeliano si sono intensificati, con incursioni notturne nei campi profughi e arresti mirati, che hanno destabilizzato ulteriormente la popolazione locale. Nelle aree a sud, vicino a Betlemme e Hebron, si sono verificate evacuazioni forzate di famiglie palestinesi, costrette ad abbandonare le proprie case a seguito di ordini di demolizione o per l’espansione degli insediamenti dei coloni.

Nel Masafer Yatta, si è registrata una nuova ondata di demolizioni mirate a colpire la resistenza della popolazione locale. Le forze israeliane hanno demolito numerose abitazioni e strutture essenziali, lasciando intere famiglie senza un riparo, aumentando così il livello di precarietà. Inoltre, è aumentata la frequenza degli attacchi dei coloni, che agiscono con crescente impunità, sostenuti dalla presenza dell’esercito. Le misure di restrizione alla libertà di movimento si sono inasprite, con un incremento dei check-point e della sorveglianza militare, che rende ancora più difficili gli spostamenti dei palestinesi e degli accompagnanti internazionali, tra cui Operazione Colomba.

Il 10 febbraio, a Khallet Athaba, l’esercito israeliano ha demolito otto abitazioni, tra cui cinque case, una tenda e due grotte abitate, lasciando diverse famiglie senza casa. L’operazione è stata condotta con la protezione della polizia e di unità speciali, impedendo qualsiasi intervento da parte della comunità palestinese e degli attivisti internazionali. Il 18 marzo altre demolizioni hanno interessato i villaggi di Umm Al Khair, At-Tuwani e Shab el Boutum (sette abitazioni e una struttura per animali), con un massiccio dispiegamento di forze militari, che hanno isolato l’area e imposto un divieto di accesso temporaneo. Durante l’operazione, un abitante palestinese è stato aggredito fisicamente dalla polizia, mentre tentava di opporsi pacificamente. Infine, perfino le 7 tende per famiglie allestite per ospitare le famiglie sfollate di Khallet Athaba sono state nuovamente target di demolizioni il 26 febbraio.

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