Da più di un decennio la Grecia è meta di primo approdo per le persone in movimento che fuggono da guerre e povertà passando per la Turchia (spesso proseguendo per la rotta balcanica).

Dal 2020 Operazione Colomba-APG23 supporta queste persone attraverso la condivisione diretta e il monitoraggio del rispetto dei Diritti Umani.

Il presente Report è frutto di un anno di esperienza (con il progetto dei Corpi Civili di Pace) accanto alle persone in movimento che vivono in Grecia, e di diversi viaggi di monitoraggio effettuati per verificare le condizioni dei campi profughi sulle isole e sulla terraferma.

La condivisione della vita quotidiana con queste persone ha permesso di raccogliere storie e testimonianze direttamente da chi le ha vissute, utilizzando un'osservazione partecipante che ha reso il Report particolarmente autentico.

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Ogni anno il 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, istituita dalle Nazioni Unite per ricordare l’impegno collettivo, a livello globale, di supportare i Diritti inalienabili di tutte le persone forzate a fuggire.
Ogni anno, questa giornata rappresenta un’occasione cruciale per riflettere sull’impatto dei conflitti e dei cambiamenti climatici sulla capacità delle persone di condurre delle vite dignitose nel luogo in cui sono nati.
Secondo il report annuale dell’UNHCR, il numero degli sfollati forzati è quasi raddoppiato negli ultimi 10 anni, raggiungendo nel 2024 un record assoluto di 120 milioni di persone costrette a lasciare la propria casa senza possibilità di farvi ritorno.
Qui in Grecia, uno dei principali luoghi d’arrivo in Europa, questa ricorrenza si riempie di amarezza per via della sua vicinanza con l’anniversario del naufragio di Pylos, il secondo più letale registrato nel mar Mediterraneo, avvenuto il 14 giugno del 2023.
Per noi volontari/e del progetto sperimentale Corpi Civili di Pace e di Operazione Colomba (Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII) è stato importante ricordare le più di 600 vite perse in mare e le ingiustizie affrontate dai sopravvissuti, partecipando alla manifestazione ad Atene che, nonostante la massiccia presenza di forze di polizia, chiedeva di mantenere vivo il ricordo della tragedia e di fare luce sulle dinamiche dell’accaduto e sulle responsabilità della Guardia Costiera greca.

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Qui nel progetto in Grecia, in queste prime settimane ricche di incontri, di scambi di sguardi e di silenzi, ho ripensato molte volte alle parole della poesia di Pablo Neruda: “Nascere non basta. È per rinascere che siamo nati”.
Mi ritornano in mente ogni volta che andiamo al campo di Ritsona o di Malakasa, e vedo le mura di cemento e il filo spinato che delimitano lo spazio, sento l'odore dell'industria chimica che volteggia nell'aria e vedo le guardie all'ingresso che osservano con attenzione ogni spostamento.
Sono sempre stata convinta, e lo sono ancora di più oggi che porto una vita in grembo, che il dono della vita sia una cosa grandiosa, un urlo di gioia verso una nuova dimensione, dove tutto prende una nuova forma, un nuovo rumore, un nuovo odore e un nuovo colore, impariamo pian piano a conoscere questo immenso mondo e a capire le sue magiche dinamiche.
Non siamo mai soli in tutti questi passaggi, veniamo aiutati a nascere dalle mani sicure di un'ostetrica, poi accolti dagli abbracci caldi della nostra famiglia e cresciuti da un'intera comunità educante, insomma crescere è un grande lavoro e una grande impresa.
Qui in Grecia, nel sud dell'Europa, all'interno di un campo per richiedenti asilo è ancora così magico nascere?

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“Tourists enjoy your stay in the cemetery of Europe” recita un grande murales in uno dei quartieri di Atene. Sarà stato visto dai milioni di turisti che ogni estate invadono la città precipitandosi a comprare i soliti souvenir di plastica e a bruciarsi sotto il sole che batte sull’Acropoli?
Questi turisti avranno pensato anche solo per un attimo, guardando il mare sotto ai traghetti che li portano su isole troppo affollate, alle persone che vi hanno perso la vita?
Secondo gli ultimi aggiornamenti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), soltanto nel 2024 le persone uccise in mare dalle politiche europee sulla migrazione sono oltre mille, almeno 30.000 negli ultimi dieci anni; la rotta del Mediterraneo orientale, dalla Turchia alla Grecia, è tra le più pericolose perché la guardia costiera greca continua ad effettuare respingimenti, pratica ampiamente documentata e già condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) in relazione alla causa Safi et al. contro Grecia, e perché non vi sono ONG che operano nel soccorso.
Quelli che riescono a sopravvivere al mare e alla guardia costiera vengono destinati ai campi profughi; prima vengono trattenuti in quelli sulle isole, campi chiusi sorvegliati come prigioni, quindi sono trasferiti in uno dei campi presenti sulla terraferma, divisi in Reception and Identification Centres (RIC), Malakasa, Diavata e Fylakio, e Controlled Reception Centres for asylum seekers (CTRC). Questi sono ormai l’unico tipo di soluzione abitativa offerta dal governo greco alle persone in movimento, dopo la completa chiusura nel 2022 del programma ESTIA, che prevedeva la sistemazione decentralizzata delle persone considerate più vulnerabili in appartamenti e una serie di servizi di supporto.

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Confine è una linea che delimita e definisce uno spazio.
Confine è un limite che l’uomo si impone per dividere, allontanare, tenere fuori ciò che gli fa paura.
Confine è dimenticare che ciò che ci rende umani è l’incontro con l’altro.
Tutto questo è l’Evros, un confine naturale che separa la Grecia dalla Turchia, una porta lunga circa 130 Km verso l’Europa per tante persone in movimento.
Per capire cos’è un confine bisogna andare a toccarlo con mano.
L’Evros si mostra al nostro sguardo in tutta la sua brutalità, protetto da un muro che sembra infinito fatto di reti, barriere, basi militari e un dispiegamento di forze militari, polizia di frontiera e Frontex.
Per capire siamo voluti andare sulle rive di quel fiume, un posto che dovrebbe essere naturalmente libero, ma che essendo una delle “porte dell’Europa” diventa un luogo inaccessibile, dove non sarebbe permesso andare.
La polizia di frontiera ci ferma e la vediamo spaventata da due ragazzi.
Veniamo scortati alla stazione di polizia più vicina e trattenuti per 4 ore.
Osserviamo in un luogo che mostra tutta la sua potenza repressiva un insieme di persone totalmente scollegate dalla realtà che noi tocchiamo quotidianamente.

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