Il 5 giugno 2025 Operazione Colomba ha accompagnato l’atto pubblico di riconoscimento di responsabilità internazionale e scuse pubbliche da parte del Presidente della Repubblica di Colombia, Gustavo Petro Urrego, per i crimini commessi contro la Comunità di Pace di San José de Apartadó.
È stato riconosciuto il fondamentale lavoro della Comunità di Pace nella costruzione della sovranità, della pace e del disarmo civile, e il fallimento dell’apparato giuridico nell’investigare i crimini perpetrati dallo Stato colombiano contro di essa.
Un evento storico, che segna la storia di resistenza e dignità della Comunità di Pace.
Un evento che abbiamo accompagnato con profonda emozione, dalla Serrania del Abibe alla città di Bogotà.
Abbiamo visto la Comunità tutta togliersi per un momento gli stivali, indossare delle scarpe, posare il machete per alcuni giorni e portare con sé, ancora una volta, l’orgoglio di essere una comunidad campesina.
Atterrare a 2600 metri, nel “freddo” della capitale: un evento atteso per anni, in dignità e resistenza.

“Perdón Comunidad de Paz de San José de Apartadó”.
Ha concluso così il suo intervento il Presidente Gustavo Petro Urrego dopo oltre 40 minuti nei quali ha dichiarato colpevole lo Stato colombiano della violenza in Colombia: “Come si può avere un massacro continuo di una Comunità con 300 vittime dirette per 30 anni e la giustizia non indaga? Dov'è la magistratura colombiana? Non è questo un atto di ignominia? Non sono stati i militari colombiani a uccidere direttamente molti civili, la maggior parte, a San José de Apartadó? Le loro munizioni non sono state comprate con denaro pubblico? Le loro uniformi non sono state comprate con denaro pubblico? Lo stipendio del generale Rito Alejo del Río non è stato pagato dal popolo colombiano? Ha detto la verità?”.




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Scrivere di questo contesto e della Comunità di Pace di San José de Apartadó può sembrare difficile.

Da una parte, per capire la situazione, sarebbe necessario conoscere la storia del conflitto armato colombiano e delle sue fazioni, capire come i vari attori controllano o penetrano nel territorio, conoscere la geografia della regione, le sue risorse, gli interessi in gioco.

Ma servirebbe più di qualche libro di storia e sicuramente qui manca lo spazio anche solo per una introduzione che possa avere una minima pretesa di esaustività.

D’altro canto è anche difficile concentrarsi sul particolare, rispettando le storie e le sofferenze delle persone e soprattutto rispettando le restrizioni e le regole che si è costretti a seguire per necessità di sicurezza.

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È difficile, arrivando da fuori, rendersi conto di quale sia la realtà della vita di tutti i giorni qui alla Comunità di Pace di San José de Apartadó.

Si scende al piccolo aeroporto della città più vicina, Apartadó.
Arrivati alla Comunità di Pace si attraversa un cancello di ferro e dopo qualche abitazione si arriva alla casa di progetto, ci si sistema, si imparano le prime regole di convivenza, con gli altri e con l’umidità (spesso le due cose coincidono).
Passa probabilmente qualche giorno, il tempo di cominciare ad acclimatarsi, forse a cominciare a riconoscere qualche volto, a fare le prime due chiacchiere con la gente.

Poi arriva la prima richiesta di accompagnamento.

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È ritornata immediatamente a seminare.
Grida silenziosa la Loro assenza.
Là, dove un atto disumano ha violentemente colpito a morte una donna e un giovane, la Comunità di Pace di San José de Apartadó è tornata subito a lavorare la terra.
Riso, mais, cacao, canna da zucchero, banane.
Sfidano la paura e sfidano il dolore, lasciandoli però vivere, perché esistono.
Ma paura e dolore non vincono sul coraggio di una lotta di resistenza senza la quale per loro non ha senso esistere.
Rispondono ad un’estrema violenza con mani colme di semi di riso, mais e fagioli.
Pensavano di distruggerla, la Comunità, di intaccare il coraggio della sua gente, così come pensarono di annientarla nel 2005 con il terribile massacro di Mulatos e Resbalosa.
Né allora né oggi l’intento è riuscito.
Non è stata demolita la Comunità di Pace.
Sulla pelle dei loro compagni e compagne assassinate, la Comunità si è eretta e si erge ancor più unita, ancor più solida.
Nessuna persona ha abbandonato in questo tempo la lotta.
Nessuna.

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Una delle cose più sorprendenti che ho potuto osservare nel tempo trascorso con i difensori dell'ambiente e dei diritti umani della Comunità di Pace di San José de Apartadó è il modo in cui si declina il concetto di umanità.
Si trova nei discorsi che fanno durante le riunioni comunitarie, nella scelta politica di vivere la resistenza nonviolenta in una zona di conflitto, nel dolore di seppellire i compagni e le compagne uccise.
Si trova anche a qualche settimana dall'ultimo duplice omicidio, a poche decine di metri dal luogo del massacro del 2005, in un ragazzo che legge a suo figlio una favola prima di dormire.