La notizia del grande campo profughi situato in località Al Minyeh e composto da 100 tende, che in data 27 dicembre è stato interamente dato alle fiamme, ha fatto il giro dei media mondiali.
Proviamo qui a riportare i fatti che ci sono stati riferiti da fonti in loco, aggiungendo alcune considerazioni che derivano dal clima generale in cui vivono i profughi siriani in Libano, in questo momento.
Innanzitutto, il campo in questione non è solo uno dei tanti insediamenti informali costruiti dai profughi che hanno superato il confine a causa della guerra, ma esisteva già molto prima del 2011 ed era abitato da lavoratori stagionali siriani che già da diversi anni lo abitavano nei periodi di lavoro.
Dopo l’inizio della guerra, questi vi hanno portato anche le loro famiglie e vi si sono trasferiti in pianta stabile.
Inoltre, a differenza di altri posti del Libano particolarmente ostili, la zona di Al Minyeh non è quasi mai stata teatro di episodi di violenze contro i siriani di tale portata, pur essendosi verificati episodi minori.
Il fatto che questo campo, presente da tanto tempo, sia stato coinvolto in un fatto tanto grave, fa riflettere su quanto il livello di intolleranza stia salendo notevolmente nel Paese.
CAMPAGNA DI TESSERAMENTO 2021
“Perché per alcuni esistere significa resistere” è una delle frasi del nostro MANIFESTO, dei tanti “perché” che motivano e caratterizzano l’esistenza di Operazione Colomba. Tesserarsi ad Operazione Colomba rappresenta l’adesione a questi valori di Pace e Nonviolenza che ti invitiamo a condividere con noi: CLICCA QUI
IN PRIMO PIANO
A quemar el año viejo

In Colombia, così come in altri Paesi dell’America Latina, c’è un rituale allo scoccare della mezzanotte, tra il tramonto del vecchio anno e l’alba del nuovo che sta per arrivare, che vede, nel bruciare un muñeco, il simbolo dell’anno giunto a termine e, attraverso il fuoco, “eliminare” le cose negative successe.
Gli ultimi giorni di dicembre si cercano quindi vecchi pantaloni, magliette o camicie, felpe e in generale vestiti che non si usano più, per abbigliare il muñeco dell’Anno Vecchio imbottendo di segatura, carta o qualsiasi altro materiale che permetta di dare una forma ai panni per poi metterlo seduto su una sedia nell’uscio di casa, nel giardino o nelle vie.
Anche qui nella Comunità di Pace di San Josè de Apartadò, i giorni prima dell’arrivo del nuovo anno, la gente si affretta a ricercare stracci o quant’altro per dare forma all’Anno Vecchio.
Inutile dire che tale rituale, quest’anno, è stato ancora più sentito.
Nelle viscere della mia anima
Crescendo ho imparato che i viaggi migliori sono quelli in cui vado a trovare qualcuno.
Anche l’incontro con il Libano è stato così, la prima volta a trovare parenti di amici siriani conosciuti in Italia, e poi dalla seconda è stato un continuo salutare dicendosi “a presto, inshallah”, andarsene con le lacrime sul viso per la nostalgia di chi stavo salutando e tornare ogni volta con un gran sorriso a riabbracciare chi avevo lasciato.
Ogni volta, sempre di più e sempre più spesso da quattro anni.
Stavolta è diverso.
Ogni volta lo è stato un po’, ma stavolta l’ho sentito dentro di me negli ultimi giorni prima di partire.
Lo scorrere del tempo in questi anni mi ha mostrato come le vite delle persone vadano avanti, per quanto io tenga più o meno aperta una finestra sulla loro quotidianità a seconda del periodo.
Prima di andare via

Prima di andare via, 3 novembre 2020, 00:15
Non è stato vano.
Questa presenza.
Bilal che dopo un anno racconta la ragione per cui non è voluto partire per l’Italia quando mancavano ormai pochi giorni al viaggio, così dal nulla la racconta, senza dovergli fare alcuna domanda e volendo da solo entrare nei particolari.
“Pesca”, sua figlia, è bellissima, parla, ride, corre e scalcia come uno spirito libero.
Il suo sorriso è lo stesso di un anno fa ed è contagioso, ha solo perso la voglia di fare le bizze e la timidezza.
Jihad dentro si sente un uomo nuovo, e dice “questa è la vita mia, e devo farcela”.