È ritornata immediatamente a seminare.
Grida silenziosa la Loro assenza.
Là, dove un atto disumano ha violentemente colpito a morte una donna e un giovane, la Comunità di Pace di San José de Apartadó è tornata subito a lavorare la terra.
Riso, mais, cacao, canna da zucchero, banane.
Sfidano la paura e sfidano il dolore, lasciandoli però vivere, perché esistono.
Ma paura e dolore non vincono sul coraggio di una lotta di resistenza senza la quale per loro non ha senso esistere.
Rispondono ad un’estrema violenza con mani colme di semi di riso, mais e fagioli.
Pensavano di distruggerla, la Comunità, di intaccare il coraggio della sua gente, così come pensarono di annientarla nel 2005 con il terribile massacro di Mulatos e Resbalosa.
Né allora né oggi l’intento è riuscito.
Non è stata demolita la Comunità di Pace.
Sulla pelle dei loro compagni e compagne assassinate, la Comunità si è eretta e si erge ancor più unita, ancor più solida.
Nessuna persona ha abbandonato in questo tempo la lotta.
Nessuna.
E sì, c’è paura.
Ma l’amore è più grande, la sete di giustizia più forte.
Ci confessano che “el próximo podría ser yo”, “la próxima podría ser yo”.
Ma non se ne vanno e non se ne andranno.
Poche ma chiare parole escono dalla loro bocca: “Vamos a seguir. Siamo Comunità. Siamo coscienti che potrebbero ammazzare altre di noi ma non uccideranno la Comunità. Nosotros somos más.”.
Libere, queste persone continuano a seguire con dignità laddove c’è chi sta cercando di negare la loro essenza, la loro esistenza, la loro identità profonda come Comunità.
Mentre parlano, siamo sedute su una bassa panchina all’interno della casa a La Esperanza.
Davanti a noi, sulle assi di legno del pavimento, sono ancora visibili le tracce di sangue di tanta violenza.
Non eravamo ad ascoltare in “posti sicuri”, non eravamo “fuori contesto”.
Eravamo proprio lì dove la morte ancora una volta ha segnato profondamente la vita della Comunità di Pace.
Ed è proprio lì che stiamo assistendo alla trasformazione di tanto dolore in nuove semine con la speranza di nuovi raccolti.
Qui le parole sono azioni.
Qui la costruzione della pace e il reclamo di giustizia è rinuncia alla propria vita per una lotta a difesa del bene collettivo.
Qui seminano tutti e tutte: donne, uomini, giovani, bambini e bambine.
Chi rientra dopo le tante riunioni e i molti incontri ai quali in questo ultimo periodo la Comunità di Pace è chiamata a partecipare, si toglie immediatamente le scarpe dai piedi addolorati: “Es muy duro caminar por la ciudad. Queremos nuestra tierra”.
Si infilano gli stivali, allacciano in vita il machete e ripartono a seminare.
Non c’è riposo.
Non c’è sosta nella lotta.
Una leader donna con un bimbo di appena sei mesi sale sulla mula per raggiungere La Esperanza.
Piogge forti e sole cocente si alternano e poi fango e fiume in piena a rendere i sentieri ancora più difficili.
C’è di tutto, ma si va.
Un ragazzo parte a piedi perché non ha la mula, gli aspettano circa 6 ore di cammino.
A quel ragazzo nel 2005 hanno massacrato il padre e il fratello.
È ancora qui a resistere, anche lui va a seminare a La Esperanza.
“Perché LÌ è dove dobbiamo stare”, ci ripetono.
Anche noi.
S.