Avevi due occhi azzurri brillanti contornati da un reticolo di rughe, che componevano la mappa dei dolori della tua vita sulla pelle sottile del volto.
Ti abbiamo conosciuto minuta, vestita sempre di nero, un po’ incurvata dall’età, ma sempre pronta a offrirci una bibita e qualche caramella.
Varcato il cancello di ingresso del tuo cortile, restavamo accecati dal biancore luminoso della calce del pavimento, su cui spiccava qualche pianta in vaso.
Poi comparivi tu, col tuo foulard nero in testa, e contenta di vederci ci facevi accomodare subito dentro.
In una notte di follia, in cui avevi perso un figlio e due nipoti, eri rimasta ferita anche tu, e ti eri salvata per miracolo da quella sparatoria che aveva gettato la tua vita nel lutto perenne.
Avevi avuto parole dure per tutti: per i giornalisti, che non ti lasciavano in pace nemmeno nel tuo letto di ospedale; per le istituzioni, i cui rappresentanti si mostravano a favore di telecamere ma non si occupavano delle vittime della sparatoria; per le forze dell’ordine, che non riuscivano ad arrestare i colpevoli; per gli autori del delitto, che ti avevano portato via la tua famiglia.

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All'inizio penso sia uno scherzo e chiedo a Blerina di ripetere.
"Come?"
Forse non ho capito perché non conosco ancora bene l'albanese.
"Come? Puoi ripetere per favore?".
"Kol ha smesso di bere, non è stato bene e ha smesso di bere. Così da un giorno all'altro ha detto: Basta! Basta alcool, mi fa solo male".

Sono passati due mesi dall'ultima visita a questa famiglia, ormai passiamo più raramente a trovarli a casa, perché il problema più grave sembrava essere l'alcol. Il maledetto alcol, che attanaglia ogni famiglia che si autoreclude in casa per timore di subire una “vendetta di sangue”.
Il maledetto alcol, che sembra emolliente per ogni frustrazione, per il terrore costante di essere uccisi.
Blerina ci dice che è stato come rinascere, come una nuova vita che qualcuno ha deciso che dovevano vivere. “È incredibile! All'inizio non ci credevo” - continua annuendo - “invece poi ho visto uno, due, tre, quattro giorni senza che lui toccasse una sola goccia di raki, e così mi sono detta che forse davvero è la volta buona!”.
Ci guardiamo un po' esterrefatti, sorpresi, felici. Non ci sembra quasi vero, perché l'abuso di alcol è una delle pessime certezze che avevamo nel progetto in Albania. Quasi ogni famiglia coinvolta nella “vendetta di sangue” lotta ogni giorno contro la piaga della dipendenza da alcol.

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All’inizio del 2020 è stata chiusura la presenza di Operazione Colomba in Albania.
Tale decisione è stata frutto di numerose riflessioni, a partire dai risultati positivi raggiunti in 10 anni di progetto!
La maggior parte delle famiglie “in vendetta” da noi seguite ha migliorato le condizioni di vita: alcune sono uscite dalla paura smarcandosi dalla situazione di isolamento in cui vivevano; altre hanno abbandonato l'idea di vendicarsi e hanno ricominciato a progettare il proprio futuro.
L'attività di monitoraggio di questi casi è stata passata in consegna ai missionari della Comunità Papa Giovanni XXIII che continua la presenza in Albania con strutture di accoglienza e interventi di solidarietà.
Inoltre, è stato consegnato a diverse realtà locali un kit di “buone prassi” che Operazione Colomba ha maturato nella gestione nonviolenta dei conflitti scaturiti dalla pratica della “vendetta di sangue”.

Dai seguenti link è possibile visionare tutto il materiale prodotto (analisi, riflessioni, approfondimenti, diari, Comunicati Stampa…) in 10 anni di presenza sul campo:

- PROGETTO
- CONTESTO
- NOTIZIE DALLA PRESENZA
- APPROFONDIMENTI SULLA GJAKMARRJE
- REPORT MENSILI
- COMUNICATI STAMPA
- BLOG - UN POPOLO CONTRO LE VENDETTE DI SANGUE
- FOTO

Il Sole 24 Ore riporta che dall’inizio dell’epidemia in Albania sono morte 34 persone.
Solo il 4 giugno in una cittadina vicino a Tirana sono morti due giovani fratelli.
Uccisi.
Ma non dal coronavirus.
Uccisi da un altro ragazzo.
Uccisi per un male micidiale che non dà scampo alla meravigliosa terra delle aquile.

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Dopo 10 anni di attività nonviolente, Operazione Colomba si appresta a chiudere la presenza in Albania.
Questa decisione, per nulla presa a cuor leggero, è frutto di attente riflessioni e constatazioni che sono state effettuate a partire dai risultati positivi raggiunti in questi anni di progetto e valutando il miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie conosciute e seguite da Operazione Colomba.
I percorsi di rielaborazione dei conflitti e dei lutti causati dal fenomeno hanno permesso a molti membri delle famiglie colpite da questa piaga sociale di superare, poco alla volta, il dolore e la rabbia per le ingiustizie e le violazioni dei Diritti Umani subite. Questi percorsi hanno aiutato le famiglie ad abbandonare l’idea di vendicare l’uccisione di un proprio parente, sostenendole nella pianificazione di un futuro costruttivo e dedicato alla vita e all’educazione dei figli, nell’ottica di prospettare loro un futuro migliore.

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