In Libano il tempo scorre diversamente che altrove.
Da ieri mi sembrano passati già almeno tre giorni, e allo stesso tempo mi sembra di essere qui da una settimana invece che un mese. È come se qui non ci fosse mai abbastanza tempo.
Tempo per stare con le persone, per cucinarsi la cena, per ascoltare, per imparare l’arabo, per metabolizzare tutti i sentimenti che si vivono in un giorno.
Forse la verità è che il tempo qui non si misura ad ore, minuti e secondi, ma segue le emozioni.
Perché non si tratta neanche di tenere il conto di quante visite si sono fatte, o di quante persone si sono ascoltate.
Ci si allontana dal bisogno di produttività a cui la nostra società ci ha abituat*.
L’obiettivo non è il fare, diventa lo stare.
Fermarsi, lasciare spazio, anzi creare spazio per l’ascolto; rallentare e prendersi tempo — che qui si valuta in emozioni — per guardarsi negli occhi.