Situazione attuale
Ad agosto Atene ed il campo di Ritsona sembrano svuotarsi, con molte persone che si spostano nelle isole per temporanee opportunità di lavoro, e molte altre che partono per la rotta balcanica. Anche le poche organizzazioni che offrono servizi di tipo assistenziale all’interno del campo sospendono le proprie attività; la gran parte degli uffici pubblici, delle organizzazioni e degli studi legali chiudono, e le interviste per la richiesta di protezione internazionale vengono posticipate, con rallentamenti nelle procedure d’asilo. A Ritsona manca il personale amministrativo, mentre la clinica medica è stata chiusa per problemi nel pagamento del personale sanitario, lasciando i residenti del campo privi anche di un medico di base.
In questo clima di vuoto e sospensione, non si ferma la macchina dello sfruttamento lavorativo delle persone in movimento, specialmente per le persone prive di documenti, per coloro che sono in attesa di una risposta alla domanda di asilo e per coloro a cui è stato negato lo status di rifugiato. Da gennaio 2020 i richiedenti asilo devono aspettare sei mesi dall’apertura della domanda di protezione internazionale prima di vedersi riconosciuto il diritto al lavoro, che dovrebbe essere garantito ai rifugiati; in questo lasso di tempo hanno accesso soltanto al lavoro nero e informale. Il mercato del lavoro regolare resta comunque difficilmente accessibile per rifugiati e richiedenti asilo a causa di barriere linguistiche, difficoltà a vedersi riconosciute le proprie qualifiche, segregazione spaziale e sociale, discriminazioni e razzismo strutturale.
Durante la procedura d’asilo i richiedenti protezione internazionale rimangono all’interno dei campi profughi per diversi mesi, se non anni. L’assistenza fornita dallo Stato non garantisce una vita dignitosa all’interno dei campi, costringendo le persone in movimento ad accettare lavori sottopagati e non regolari; anche l’isolamento dei campi rispetto ai centri abitati rende inaccessibile gran parte del lavoro. I settori principali in cui trovano lavoro i richiedenti asilo sono quello agricolo, nei campi coltivati, nelle industrie o nelle pulizie; durante i mesi estivi, come luglio e agosto, molti trovano lavoro anche negli hotel e nei locali turistici sulle isole. Soprattutto le donne in movimento, e tra loro le madri, sono ad alto rischio di sfruttamento nell’economia informale in quanto si assumono le responsabilità della cura dei figli, da conciliare con le sfide della ricerca di un lavoro, ed hanno spesso un livello di istruzione e formazione inferiore.
Condivisione, Lavoro e novità sui Volontari e le Volontarie
Durante il mese di agosto i volontari e le volontarie hanno continuato a recarsi presso il campo di Ritsona, ma è stato necessario adeguare gli orari delle visite al clima e agli orari di lavoro dei residenti del campo, spesso impegnati per tutta la mattina nella raccolta o fino a sera nella pulizia delle strade. Le persone che tornano dal lavoro raccontano di come, nonostante molte persone abbiano lasciato il campo, le condizioni di vita rimangano estremamente difficili ed il livello di violenze molto alto.
I volontari e le volontarie hanno seguito in particolare il caso di una famiglia irachena, che vive nel campo di Ritsona da circa cinque anni. Il figlio minore, H., di sette mesi, soffre di una grave malattia genetica, che lo ha portato ad essere continuamente ricoverato in ospedale praticamente dalla nascita. Il caso di questo bambino porta alla luce le gravi contraddizioni del sistema europeo di gestione delle persone in movimento, in primo luogo rispetto alle condizioni abitative cui sono costrette nei campi profughi. Le persone che vivono nel campo di Ritsona denunciano come questo sia un ambiente profondamente insalubre, dove il poco cibo che viene distribuito è scaduto, gli insetti sono ovunque, sono comuni malattie della pelle e infezioni, i cani randagi sono lasciati liberi di entrare, vi è un diffuso clima di violenza che porta a risse ed accoltellamenti. Inoltre il campo è completamente isolato per l’assenza di mezzi di trasporto che lo colleghino alla città, se viene richiesto l’intervento di un’ambulanza questa spesso non arriva o arriva solo dopo diverse ore. L’assenza di adeguate condizioni igieniche, le continue violenze, la lontananza da strutture medico-sanitarie rendono il campo incompatibile con una vita degna e sicura, specialmente se si tratta di un bambino di pochi mesi che necessiterebbe di particolari cure ed un continuo monitoraggio medico; nonostante questa incompatibilità sia stata certificata anche dai medici dell’ospedale, il sistema non prevede la possibilità di offrire una diversa sistemazione abitativa ad H. e la sua famiglia.
Il caso di H. dimostra anche le gravi carenze del sistema sanitario greco, che sembra fare molto più affidamento al proprio settore privato, cui le persone in movimento non possono materialmente accedere: i medici faticano ad arrivare ad una diagnosi mentre il bambino peggiora giorno dopo giorno.
La famiglia non è stata messa nelle condizioni di avere una piena comprensione della malattia del figlio, nell’ospedale infatti non è mai presente un mediatore e la madre assiste a continui test e somministrazioni di medicinali senza essere correttamente informata. Inoltre, in base al funzionamento del sistema sanitario greco, la cartella clinica di un paziente viene digitalizzata e rilasciata solo a seguito di formale richiesta e soltanto se questo paziente dispone della copertura sanitaria; nel caso di una persona in movimento, ciò implica che se non è ancora inserita nel sistema di domanda di asilo o se ha ricevuto un rigetto alla propria domanda, non ha diritto allo storico delle analisi e delle medicine che le sono state somministrate. Questo rende anche impossibile chiedere consulti esterni.