Ottobre 2012

APPROFONDIMENTO CONTESTO

Il processo di pace
Come anticipato nel report di settembre, sono iniziati i nuovi negoziati di pace tra FARC e Governo. La prima sessione si è svolta a Oslo, si è conclusa con un nulla di fatto, rimandando tutto a novembre, quando le parti si incontreranno di nuovo a Cuba.

La richiesta delle FARC, praticamente, è di vincere la guerra non più con le armi ma grazie ad un trattato di pace. La loro volontà è di rivoluzionare radicalmente lo Stato; pretesa certo esagerata, almeno in un colloquio con lo Stato stesso.
Il presidente Santos ha deciso di presentarsi come uomo della pace, scommettendo molto su una sua possibile rielezione nel 2014 grazie all'accordo con le FARC, ma rischia di impantanarsi in un processo di pace rischioso, del quale sembra le FARC possano approfittare, grazie anche agli appoggi internazionali di Cuba e Venezuela. Un accordo di pace andrebbe a vantaggio di tutti (USA compresi, stanchi di pagare miliardi per il Plan Colombia), ma potrebbe essere la pietra tombale sul governo Santos e sulla sua carriera politica.
C'è un punto unico in cui la visione di FARC e governo coincide: deporre le armi non può essere l'unica prerogativa per la pace.

Il prezzo della pace
Questa convinzione porta a due conseguenze dirette: la prima riguarda le riforme profonde del sistema Colombia, dalla restituzione delle terre (per ora portata avanti in maniera poco trasparente dal Governo) all'uguaglianza sociale, dall'impunità dei guerriglieri alla revisione del funzionamento dell'esercito colombiano.
La seconda conseguenza ha a che vedere con il prezzo della conversione pacifica del paese. In Colombia il 14% del bilancio finanziario nazionale se ne va in spese militari o legate alla guerra. Aggiungendo i costi per la riparazione delle infrastrutture danneggiate dai combattimenti o dalla guerriglia, si calcola in circa 24 bilioni di pesos il costo totale annuo: più di 10 miliardi di euro, all'incirca una legge finanziaria dello Stato italiano. Se il conflitto terminasse, le conseguenze economiche potrebbero essere enormi: da una parte un miglioramento delle condizioni strutturali (aumento degli investimenti stranieri, miglioramento della sicurezza), dall'altra un crollo catastrofico delle spese legate alla guerra, che porterebbe, secondo alcuni, ad un collasso economico, come per altro dimostrano le esperienze simili di altri Stati usciti da situazioni paragonabili (paesi africani in primis, ma anche Afghanistan e Indonesia). La pace inoltre graverà in termini di maggiori tasse, che il popolo colombiano non sembra disposto a pagare. Si aggiunga il fatto che pochi ritengono che il processo di pace porterà veramente a qualcosa, c'è più la rassegnazione che tutto continuerà ad essere uguale, se non peggio.

La Marcha Patriotica
In tutta questa confusione, tra speranze e rassegnazione, è nato in aprile un nuovo movimento politico, che richiama nel nome e negli argomenti la Union Patriotica vittima di genocidio politico negli anni 80'-90': la Marcha Patriotica. Nata come un movimento di studenti e campesinos, ha attirato l'attenzione di indigeni, sindacalisti e femministe del paese, riuscendo a mobilitare, secondo alcuni calcoli, 300 mila persone. MP rivendica diritti sociali maggiori, nella convinzione che una pace duratura la si possa solo avere attraverso il miglioramento dei livelli di educazione, salute e condizioni lavorative. Queste rivendicazioni popolari, unite alla visione della violenza armata come conseguenza dell'ingiustizia sociale, pongono la visione del partito vicino a quella delle FARC. E qui sorge il problema sul quale analisti politici colombiani e gente comune si interroga: la Marcha Patriotica rappresenta una strategia delle FARC per preparare il loro ingresso nella vita politica legale colombiana, o rappresenta un movimento simile agli indignados, però in salsa colombiana (rapporto con la guerriglia, diseguaglianze sociali enormi)? Anche da questa risposta dipenderà l'avvenire del paese.

 

 

SITUAZIONE ATTUALE - CONDIVISIONE E LAVORO - VOLONTARI

Dopo un mese dal rientro di Clara e Monica in Colombia, abbiamo dato il benvenuto a Daniele che si fermerà con noi sino a gennaio.
Purtroppo dopo gli scontri avvenuti il 13 e 27 settembre 2012 tra l’esercito e le Farc nei pressi del centro urbano di San José, c'è stato un altro grave combattimento nel mese di ottobre.
Come ben noto, il piccolo centro abitato di San José, che conta poche centinaia di abitanti, si sviluppa proprio tra la base della Polizia e la base militare del battaglione “Voltigeros” della Brigada XVII.
Tali insediamenti della Forza Pubblica costituiscono un pericolo per la popolazione civile nonché una violazione della Sentenza T-1206 del 2001 della Corte Costituzionale che stabilisce criteri che impediscono di ubicare posti militari e di polizia in spazi occupati dalla popolazione civile, specialmente in zone di conflitto.
Di fatto, qualunque siano le ragioni di tali attacchi, la realtà è che il costo maggiore di tali azioni vengono sempre pagate dalla popolazione civile.
Il giorno 4 ottobre 2012, verso le 19.50, le Farc hanno attaccato di nuovo la base militare e di polizia di San Josè. Il combattimento è durato circa 40 minuti, con il lancio di almeno una decina di bombe e con intensi scambi a fuoco. I volontari di Operazione Colomba si trovavano in casa, presso la Comunità di Pace, sita a circa 10 minuti di cammino da San Josè.
Verso le 20.45 è giunta la notizia che una famiglia di San Josè aveva telefonato in Comunità chiedendo aiuto in quanto un proiettile aveva colpito un giovane ragazzo (Alberto Ariza di 32 anni) mentre si trovava nella propria casa a San Josè.
Fortunatamente, verso le 21,  i genitori dell’uomo, alcuni bambini e i vicini di casa, sono riusciti a trasportare il ragazzo sino alla bottega della Comunità dove, dopo alcuni momenti concitati, i volontari hanno deciso di accompagnare con un taxi il giovane insieme alla madre e a un membro del Consiglio Interno della Comunità, all’ospedale di Apartadò. Giunti all’ospedale purtroppo il giovane è stato sottoposto ad un interrogatorio da parte della polizia che lo accusava di essere un guerrigliero. Assistito solo dopo due ore, è deceduto dieci giorni dopo, al subentrare di un’infezione a cui i medici non hanno dato sufficiente attenzione.
Alberto era un operaio conosciuto e appartenente alla chiesa evangelica. Durante il combattimento, sentendo i suoi bambini piangere nella casa vicina della nonna, ha provato ad uscire dalla propria abitazione e nel farlo è rimasto ferito da un proiettile sparato o dalla base militare o da quella della polizia. Lo sdegno è enorme a pensare che oltre ad essere una vittima civile, sia stato anche accusato di essere un guerrigliero per poter così coprire l’evidenza che a colpirlo è stata la Forza Pubblica.
La Comunità di Pace  si è recata  a piedi a prendere il suo corpo in città; la Giunta Comunale, come l’Associazione Contadina, hanno chiesto che il Governo assuma le proprie responsabilità e l’atto venga definito come una grave violazione del Diritto Umanitario Internazionale.
La realtà è che Alberto lascia una giovane moglie incinta e tre bimbi piccoli; i vicini sono stati costretti a scappare a causa delle pressioni dell’esercito che li accusava di essere delle spie e di aver raccontato come veramente si erano svolti i fatti.
Ancora una volta la giustizia viene calpestata a forza dal potere. Da parte nostra faremo il possibile per denunciare e riscattare la dignità di questo giovane e la sua famiglia che sono prima di ogni altra etichetta  “PERSONE”.