APPROFONDIMENTO CONTESTO
Da settimane sta girando la notizia in tutto il mondo dell'imminente apertura delle trattative di pace tra il Governo colombiano e le Farc.
Tra dubbi, perplessità e speranze, da ogni angolo si alzano commenti e digressioni.
Vi proponiamo di seguito la traduzione di alcuni articoli pubblicati sulla rivista “Semana”. Anche se non concordiamo completamente sull'analisi proposta, abbiamo deciso di far conoscere, almeno in parte, il pensiero dell’opinione pubblica colombiana sul grande tema della pace.
Vorremmo inoltre invitarvi a leggere l’articolo di Robinson Tavera Villegas, giornalista di “El Comercio”, quindicinale di Apartadò, che mette bene in evidenza come le fondamenta della pace non siano rappresentate dalla firma degli accordi, quanto dalla costruzione di una giustizia sociale.
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Tratto dalla “Semana” del 3 settembre 2012 e del 10 settembre 2012
L’annuncio ufficiale, confermato da Juan Manuel Santos, che il Governo sta portando avanti trattative con le Farc per porre fine a mezzo secolo di conflitto armato, è la notizia più importante in Colombia negli ultimi dieci anni. A di là del risultato di queste negoziazioni, niente in questo Paese e in questa presidenza sarà uguale. Per la Colombia, che per la prima volta in dieci anni torna a farsi illusioni con la pace, rappresenta l’ultima opportunità di soluzione negoziata in un dissanguamento fratricida di 50 anni. Per il Presidente è, senza esagerazione, non solo la scommessa della sua presidenza se non della sua carriera. Dopo la firma dell’accordo tra il governo e le Farc a La Havana, la negoziazione per porre fine al conflitto armato dovrebbe proseguire ad ottobre in Norvegia e Cuba con la partecipazione delle stesse come garanti e di Venezuela e Cile come accompagnatori.
Una negoziazione di tale portata rappresenta di fatto un elemento che cambierà l’agenda politica e le aspettative nazionali. Ad eccezione dell’ex Presidente Alvaro Uribe e di alcuni procuratori che hanno dimostrato scetticismo, la maggioranza del Paese ha ricevuto la notizia con ottimismo e speranza. L’ambiente sempre avverso per anni ad ascoltare la parola pace, ora è un altro. Ancora più forte è stata la reazione internazionale, l’ONU e la OEA hanno salutato l’annuncio come la notizia più positiva proveniente dalla Colombia dopo molto tempo.
Anche se arrivare ad un accordo definitivo è un cammino pieno di rischi e anche se la storia delle negoziazioni con le Farc sono una successione di intenti falliti, la necessità di investire nella ricerca di una soluzione politica è quasi un luogo comune.
Per motivi militari, tutto il mondo riconosce come non sia scontata una sconfitta militare finale della guerriglia. Per puro pragmatismo economico non solo la violenza costa alla Colombia tra 1 e 2 punti del PIB (PIL?) se non che la fine del conflitto con le Farc e l’ELN potrebbe far risparmiare altrettanto per le spese militari (tra i 3500 e 7000 milioni di dollari all’anno). E per motivi ovvi: la Colombia è l’ultimo paese di questo lato del mondo che carica la zavorra di una guerra le cui principali vittime sono state centinaia di migliaia di civili. Anche se la pace non è perfetta e anche se c’è da combattere con il narcotraffico, le bande criminali, la povertà, la corruzione estrema, il mal funzionamento della giustizia, una volta liberi dal conflitto armato, le possibilità del Paese per affrontare questi altri problemi sarebbero qualitativamente diverse.
Oggi non si tratta del tempo di Uribe (1986-1990) o del Caguan (1998-2002). Sarebbe un grave errore trattare le Farc come un nemico sconfitto dal quale si esige una resa. Però esse non sono nemmeno lontanamente il “concorrente” che arriva alla tavola sentendosi alla pari con lo Stato come è stato in passato.
La decisione di negoziazione è così chiara che il dialogo iniziato con Alfonso Cano, non si è rotto definitivamente nemmeno dopo la sua morte per mano dell’esercito, ma è ripreso successivamente fino ad arrivare all’accordo annunciato in queste settimane. Dietro a questa negoziazione c’è un’attenta strategia capeggiata da Sergio Jaramillo, assessore per la sicurezza del Presidente. Un’agenda accordata preventivamente con temi limitati e con l'obiettivo esplicito di porre fine al conflitto armato. Dialoghi e negoziazioni con l’estero mantenute segrete per vari mesi, un gruppo di facilitatori internazionali scelti dalle parti, nessun avvallo ai “rumori mediatici”: tutto questo, insieme ad altri elementi, mostra che siamo di fronte ad un processo attentamente soppesato dai suoi disegnatori. Chi parla di “intromissione” del Venezuela e di Cuba, dovrebbe anche considerare i vantaggi che potrebbe dare al successo della negoziazione, l’influenza di questi governi sulle Farc ed eventualmente sull’ELN.
Le Farc dovranno considerare per la prima volta in 50 anni la loro smobilitazione e negoziare, in condizioni di debolezza militare e di fallimento della loro strategia, la rinuncia alla lotta armata e il loro ingresso alla vita civile.
Il Governo aspira ad una negoziazione in Cuba relativamente rapida, da 6 a 8 mesi. E’ risaputo che i ritmi delle Farc sono lenti. Non è meno rischioso che si “ elettoralizzi” il processo di pace attraverso la campagna dei comizi presidenziali e legislativi del 2014 . Esiste anche la possibilità di coalizioni di estrema destra contro il processo di pace o di ri-paramilitarizzazione di gruppi smobilitati, scontenti della lentezza evidente della Legge di Giustizie e Pace, ostacolata dal punto di vista legislativo, di fronte invece all approvazione rapidissima della negoziazione per la pace, chiaramente pensata per la guerriglia.
Chi conosce le Farc, è convinto che il modello “casa, macchina e borsa di studio” proposta in altri processi di pace, non servirà con un gruppo preoccupato di finire in carcere in Colombia o negli Stati Uniti, né come garanzia per entrare in politica. Se le Farc devono dimostrare che non convertiranno la Marcia Patriottica della loro eventuale entrata nella legalità, in un braccio politico armato, lo Stato ha il compito di garantire che i settori radicali opposti a tutta la negoziazione non prendano come bersaglio gli integranti delle Farc.
La valutazione dei meccanismi di giustizia per il processo di pace e la discussione del trattamento dei guerriglieri coinvolti in delitti di lesa umanità (o di narcotraffico per alcuni) sarà fondamentale prima di iniziare la negoziazione. Ottenere il delicato equilibrio tra giustizia, verità e riparazione che rispetti ed includa le vittime e che permetta la partecipazione politica dei guerriglieri, sarà un lavoro da orefice.
I dubbi che devono sciogliere le parti a La Havana sono molteplici e preoccupano tutti i versanti della politica.
Tenteranno le Farc di usare il processo di pace per ossigenarsi e liberarsi della pressione militare?
Cadrà lo Stato nella tentazione di una “pace a poco prezzo” ?
Chi sarà disposto ad accettare una società polarizzata e ferita, come prezzo per fermare lo scontro armato?
Infine il ruolo dei militari ed il loro appoggio al processo di pace sarà la chiave fondamentale.
Il Presidente ha annunciato infatti che non diminuirà la pressione militare e che la nuova strategia di attaccare la retroguardia storica delle Farc si manterrà.
Un momento molto delicato della discussione sarà, con tutta probabilità, quello delle condizioni per accordare la cessazione delle ostilità, che preoccupa tutta la forza pubblica, affinché le Farc non la sfruttino per riprendersi dalle ostilità contro di loro.
SITUAZIONE ATTUALE - CONDIVISIONE E LAVORO - VOLONTARI
Dopo un mese di chiusura del progetto a causa delle lungaggini burocratiche per l’ottenimento dei visti, Clara e Monica sono rientrate a San Josecito. Clara condividerà la vita nella comunità per un anno. Buon cammino quindi… in tutti i sensi!
Anche in questo mese di settembre non sono mancate situazioni di violenza e insicurezza per la gente. Tra gli episodi più gravi la morte di una insegnante nella vereda di Bella Vista (a circa due ore di cammino dalla comunità di San Josè). La docente, che si chiamava Fabiola Perea, giovane mamma di 32 anni, si trovava nella scuola quando alcuni uomini armati le hanno sparato diversi colpi in viso. Non è certo se sia stata la guerriglia o i paramilitari e quali siano le ragioni di un così efferato omicidio. Certo è che in un Paese che vuole a tutti i costi dimostrare di avere sotto controllo la sicurezza nazionale, crimini come questo rappresentano invece la cruda realtà. Verso la fine del mese ci sono stati due combattimenti violenti presumibilmente tra Esercito e Farc a San Josè nel mezzo delle abitazioni civili.
La nostra presenza si fa ancora più urgente in un contesto così ambiguo dove, al rimbombo di altisonanti frasi sulle trattative di pace, al momento si ascoltano solo colpi dei fucili.