APPROFONDIMENTO CONTESTO
Vorremmo dedicare il report di questo mese alla memoria di Eduar Lancheros, uno dei fondatori della Comunità di Pace di San Josè di Apartadò, che il giorno mercoledì 27 giugno ci ha lasciato dopo una lunga e dolorosa malattia.
Negli anni novanta è iniziato il suo impegno nella Commissione Giustizia e Pace come accompagnatore di alcune comunità colombiane, tra le quali, appunto, la Comunità di Pace di San Josè de Apartadò. Riportiamo la traduzione di uno scritto che la Commissione ha dedicato in sua memoria, che permette di ricostruire brevemente la sua storia.
“Eduard, difensore dei diritti dei popoli, filosofo, una delle anime dell’epopeica iniziativa della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò, passa alla storia, alla memoria collettiva di uomini e donne, che con originalità aiutarono la costruzione della dignità dei popoli.
Sin da molto giovane ha scelto di mettersi dalla parte dei “vasai” dei diritti umani, iniziando negli anni novanta come religioso salesiano. Si vedeva nei corridoi della Commissione di Giustizia e Pace, lottando tra la stampa, le denunce, i nomi, i casi di miliardi di vittime che restavano registrati nel banco dati.
In mezzo a questo registro ascoltava le testimonianze delle vittime della persecuzione statale, della violenza sociopolitica che stavano arrivando in quel luogo, testimonianze trasmesse a molte donne e molti uomini, sia religiosi che laici.
Poco a poco Eduard si impone quotidianamente di rompere il silenzio perché la sola raccolta dei dati negli incontri con le vittime che affermavano i loro diritti stava diventando uno spazio troppo piccolo, mentre la sua anima si stava forgiando in passioni profonde per le nobili cause nella pedagogia popolare e nella necessità che i valori della giustizia e della fraternità fossero parte della storia dei popoli. Fin da subito si incontrò con i giovani del “deache” che all'interno della Commissione di Giustizia lavoravano per una proposta pedagogica sul tema dei diritti umani.
Eduard era al tempo stesso un investigatore sul campo e un formatore di sensibilità e coscienza dei diritti umani, ascoltava le vittime e proponeva loro la ricerca della giustizia. Passarono così cinque anni appassionati tra studi, discussioni, proposte sul tema dei diritti umani in molte regioni della Colombia.
Arrivarono poi altri tempi in cui i giovani del “deache” si scontrarono con una frustrazione grande, a causa delle distanze tra le discussioni teoriche e i moduli pedagogici popolari e le reazione reali della gente stessa quando si scontrava con il terrore dello Stato o viveva in zone del conflitto armato.
Nessuno avrebbe mai immaginato che questi giovani provenienti dal nord del Chocò, Urabà e Bajo Atrato avrebbero cambiato la storia della vita di Eduard.
Nel 1996 Eduard, assieme ad altri “camminanti”, si addentrò nel mezzo della più feroce violenza paramilitare delle Brigade V, XI e XVII e di gravi infrazioni al diritto umanitario scoprendo le rotture profonde, la distruzione e l'abbattimento, ma dentro a tutto questo trovò anche la speranza, i sorrisi, il canto, la solidarietà tra la gente che non voleva accettare che i persecutori, gli artefici della violenza potessero definire il destino e la vita di migliaia di persone. Questa pedagogia popolare era la pedagogia della resistenza, la pedagogia dell'affermazione.
Nel 1997, dopo aver viaggiato per molte regioni nord-occidentali della Colombia, Eduard arrivò nel Nord del Chocò. A marzo di quello stesso anno la gente di San Josè de Apartadò, che ancora non si era costituita come Comunità di Pace, a causa dei massacri perpetrati dai paramilitari chiese l'accompagnamento costante a Giustizia e Pace o tutti sarebbero scappati diventando profughi.
Al momento di chiedere chi sarebbe stato disposto ad andare a San Josè, Eduard fu il primo ad alzare la mano e a offrirsi per tale accompagnamento. Partito dal Chocò dopo che fu testimone di operazioni paramilitari e alcuni omicidi, da quel giorno di marzo, come integrante della Commissione e poi come integrante della comunità di pace, Eduard mai ha smesso di stare li e mai da oggi smetterà di starci.
Arrivarono i giorni della costruzione di scommesse metodologiche e anche politiche su come ottenere che la popolazione civile evitasse lo sradicamento difronte alle cause della violenza e affermasse i suoi diritti; discussioni in mezzo a minacce ai leader, ad assassini a civili inermi che credevano nella comunità di pace, a sparizioni forzate, nel mezzo dei quali il principio dell'autonomia andava crescendo con profonda creatività, distante dalle pianificazioni e mobilitazioni tradizionali dei settori popolari. Era il tempo dell'incomprensione di ciò che era la proposta della Comunità di Pace per alcuni settori esterni, la quale costò assassinii così umanamente ed eticamente forti come quello di Ramiro.
Con Eduar si ha la memoria dell'identificazione di quelli che non sono solo meri accompagnanti, ma di quelli che si mettono a lato, si convertono e si assumo come parte di una scommessa esistenziale e storica di restituzione della dignità e della libertà. La sua temperanza e la sua verticalità si manifestò quando si propose come parte integrante della Comunità di Pace di San Josè in un tempo difficile per lui e per tutti noi di Giustizia e Pace.
Per questa identificazione e coerenza con queste cause, non fu estraneo alle minacce di morte che provennero proprio dal comandante della Brigada XVII, il generale Carreno Sandoval, e in seguito, per i suoi ausiliari: i paramilitari. Tutto questo combinato con la persecuzione giudiziale e diffamatoria della quale fu oggetto negli ultimi dieci anni, dopo che l'ex-presidente Uribe accusò la Comunità di Pace di essere protettrice e collaboratrice di terroristi, dopo che lo stesso Uribe negò la responsabilità della Brigada XVII nel massacro (del 2005) dove morì uno dei suoi migliori amici, Luis Eduardo Guerra, bugia storica e giudiziale che è stata dimenticata nel tempo.
In tutto questo tempo di memoria storica vissuta, Eduar, il silenzioso, quello dalla risata spontanea però breve, parlava di sua madre, sempre presente, mai smise di essere presente. Parlava di lei come un tesoro, come il delicato che lo protegge, come il bastione, come la lealtà a tutto prezzo, come sua preoccupazione.
Ella (sua moglie) era la sua forza. E nella lontananza, nonostante il cammino nelle stesse cause, con gli affetti non detti, la stima custodita conoscemmo del suo amore per Ella e delle sue figlie con Ella.
Solo potemmo esserne felici, perché è nell'intimità, in questi spazi propri e imperscrutabili, che si mostra il profondo umano. Lui è sempre stato quest'altro, quello del non detto, del non conosciuto, l'amante eterno.
Oggi Eduar è passato alla storia, ci fa male, però altri ne saranno felici, come quelli che dai bastioni della forza nella Brigada VXII continuano perseguitando e mentendo contro la Comunità di Pace.
A noi ci fa soffrire. Si, molto. Però lui è là, in San Josesito, sta percorrendo i villaggi con il profumo della giustizia, è nella solidarietà che si vive nonostante tanta ignominia e morte. Di lui sanno, non solo i criminali, ma anche le donne e gli uomini per bene, che i militari e paramilitari attraverso il controllo sociale e territoriale, pretendono imporsi per uccidere l'anima.
Oggi Eduar è parte della nostra memoria, è passato alla storia, di quella storia distante da circoli di potere e prestigio, di quella storia in cui a volte si muore in nome di nobili cause.”
Vi invitiamo anche a leggere, sempre in ricordo di Eduar, la lettera molto toccante scritta dalla sua compagna, Ella Flòrez, che ha saputo trasmettere, con poche parole, tutta la bellezza di questa persona. Ci ha emozionato quando lei stessa l'ha letta al funerale e pensiamo sia un esempio di quanto nel dolore si possa riuscire a vedere, o a non smettere di vedere, la luce.
La traduzione della lettera è online sul nostro sito, la potete leggere cliccando qui.