Viaggio conoscitivo a Mapiripan: non possiamo tacere!

Colombia

Nel mese di novembre, su invito della Commissione Interecclesiale di Giustizia e Pace, Associazione colombiana che da oltre 20 anni accompagna in Colombia le comunità minacciate, i volontari di Operazione Colomba hanno intrapreso un viaggio conoscitivo di tre settimane e che ha toccato Mapiripan (nella regione del Meta), Puerto Asis (nella regione del Putumayo) e il porto di Buenaventura (nella Valle del Cauca).

Di seguito riportiamo un primo articolo con alcune riflessioni di una delle nostre volontarie.

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Leggo, cerco notizie, voglio conoscere, cercare di capire cosa spinge a tanta brutalità l'essere umano. Negli ultimi mesi, mentre la mia vita, assieme agli altri volontari di Operazione Colomba, è vissuta a fianco dei contadini della Comunità di Pace di San Josè di Apartadò, veniamo a conoscenza di una realtà, un'altra ancora, inquietante.

Leggo le denunce pubblicate nel sito di Justicia y Paz: “[...militari e paramilitari tolgono con la forza le terre alla popolazione indigena, afrodiscendente e meticcia, che abita in aree di particolare valore strategico per il commercio agrario, l'estrazione mineraria, le opere di infrastrutture stradali, con la scusa di appartenere alla guerriglia. Alla fine, le terre vanno in mano ai pretendenti, onnipotenti impresari con la capacità di comprare giudici, legislatori, gente della chiesa, governatori, per implementare il loro commercio e unire terre e terre con lo scopo di accrescere la propria ricchezza […] In effetti, nell'area rurale di Mapiripan, nel Meta, dove la popolazione è vittima di uccisioni, massacri, sparizioni da parte di paramilitari, l'impresa Poligrow, con sede a Torino, si appropriò irregolarmente di 5.000 ettari di terreno. Questa terra è stata destinata alla semina di piantagioni di palma d'olio per la produzione di biocombustibile. […] In Barandales, gli abitanti tradizionali sono stati obbligati a sfollare dalla propria terra a causa degli operativi paramilitari e, alla fine del  2009, affermano le vittime, è stata “legittimata” la sottrazione dei terreni con l'intervento della polizia, dell'esercito e del comune del municipio di Mapiripan. I risultati sono sempre gli stessi. L'impresa Poligrow si è rifatta a predi rurali per il commercio agrario con seri vizi legali. Oggi si sa che i paramilitari hanno intimidito e minacciato varie famiglie contadine perché se ne andassero o morissero o ricevessero il pagamento del Patron Italiano (Carlo Vigna Taglianti, direttore esecutivo di Poligrow) di 16 milioni di pesos (euro 8000 circa) indipendentemente dall'estensione della proprietà. William e Dumar Aljure sono i legittimi proprietari in buona fede di un'area di 125.000 ettari nella zona rurale di Mapiripan. Le pressioni e le minacce contro i due fratelli continuano. Sono entrambi sotto uno schema di protezione per il rischio straordinario alla vita per essere  reclamanti di terra. Il voler affermare il loro diritto alla terra ha significato affrontare la struttura paramilitare e il settore impresario, tra cui l'impresa Poligrow Ltda”.

La sete di giustizia ci ha portato fino a lì.

Tocca “madrugar”. Arriviamo in questa città già con l'oscurità. Impieghiamo “solo” 4 ore da Bogotà per raggiungere il capoluogo della regione del Meta. La macchina blindata con la quale viaggiamo ci porta in un ristorante a mangiare la “mamona”, piatto tipico della cucina llanera (llano oriental è il nome di questa area della Colombia attribuito per le distese pianure che la conformano).
Lì, ad attenderci, William, costretto a lasciare la propria proprietà terriera nella campagna orientale della Colombia e sfollato quindi forzatamente. Un tipo arzillo, pimpante, ironico. Sguardo sempre vispo. Ceniamo, il tempo di scambiare due chiacchiere e definire l'orario di partenza per il giorno successivo.
Tocca “madrugar”, la partenza è prevista per le ore 4 del mattino: “se tutto andrà bene, in 9 ore sarete a Mapiripan...”.
Ore 4, siamo tutti lì in circolo: io, Moni, Fabio, William, Dulmar (fratello di William anch'esso sotto protezione) e i due agenti. Ci accorgiamo che la jeep con la quale viaggiamo non ha i due sedili aggiuntivi. Decidiamo che a turno uno di noi viaggerà nel portabagagli e gli altri 4 ben ammassati nei sedili posteriori. Non ci lamentiamo, abituate al chivero di San Josè è un lusso questo viaggio. Veniamo informate della possibilità di fare una piccola deviazione per visitare la casa dove, il 4 aprile 1968, le forze armate colombiane uccisero il nonno, il capitano Dumar Aljure, capo della guerriglia degli anni '50. Conoscendo la storia di questo personaggio accettiamo di buon grado la proposta. Circa 15 minuti di strada sterrata e arriviamo dove, oggi, non restano che le rovine dell'abitazione. E' da qui, spiega William, che inizia la nostra storia.

Dumar Aljure fu un capo guerrigliero degli anni '50. Entrato come soldato dell'esercito nazionale nel 1946, disertò  perché indignato dei maltrattamenti commessi dall'esercito e dalla forza politica contro la popolazione liberale e passò a combattere dalla parte di Tulio Bautista, capo dell'insurrezione, con il desiderio però di comandare indipendentemente la propria truppa guerrigliera. Divenne proprietario di migliaia di ettari di terreno nel llano oriental, 120.000 dei quali ubicati in Mapiripan che passarono agli eredi.

I Dumar mi passano un libro: “El Capitan Dumar Aljure. Vida y muerte de un hombre rebelde”.
Ormai questa casa resta per la memoria, sussurra William. La storia è lunga... continuiamo il viaggio.
Ci aspettano 7-8 ore di savana dove, a parte due case a 4 ore di distanza l'una dall'altra, l'unico incontro è stato con dei soldati nei due posti di blocco militari.
Distese immense. Buche pericolose. Polvere. Sole. Fa parecchio effetto viaggiare in questo paesaggio. Ammiriamo l'orizzonte lontano. La selva in cui viviamo è ben distante, ma solo geograficamente.
Entriamo finalmente a Macondo. Superiamo il classico cancello di legno che segna l'ingresso in una proprietà terriera. Non sapevo nemmeno bene da che parte iniziare a guardare: distese e distese di piantagioni di palme d'olio. Il territorio, che si è fatto qui un po' collinare, è completamente caratterizzato da file regolarissime di coltivazioni di palma africana. “Benvenute a Macondo, la terra dell'italiano”.  

E la storia di ingiustizia in questo Paese continua. E questa volta ci riguarda ancor più da vicino. Nessuno sa nulla. A livello nazionale e internazionale tutto tace. I due fratelli hanno deciso di parlare. Hanno deciso di denunciare. Hanno deciso di lottare. Non solo per loro. Ci sono comunità indigene a cui sono state rubate le loro terre ancestrali: “Siamo stati i primi abitanti di questa zona, da secoli questa è la nostra terra. La nostra cultura è andata distrutta. La nostra sopravvivenza dipendeva dalla caccia e dalla pesca. Ci hanno vietato anche questo!”.

Vediamo con i nostri occhi quei cartelli: “Vietata la caccia e la pesca”. In grande la scritta Poligrow  a “firmare” il divieto.

“Quando tornate Palomas?”.

Ci salutano così i due fratelli.

Cosa può spingere l'essere umano ad uccidere, minacciare, sfollare un altro essere umano?
Possiamo accettare, come risposta, “in nome della produzione e del commercio di biocombustibile?”.

Ci dovrà pur essere un'altra via...


Silvi